Oggi, con imperdonabile ritardo ahimè, ho potuto dedicare le mie orecchie e tutta la mia attenzione all’ascolto dell’ultimo lavoro dello svedese Kristian Matsson, in arte The Tallest Man on Earth. L’album è disponibile dall’8 maggio 2015, e devo dire non è stato accolto nel migliore dei modi.
Cosa si è detto di Dark Bird is Home? Fondamentalmente che si tratta di un album trascurabile e banale, che permette finalmente a chi non aspettava altro di archiviare il povero Matsson tra le vecchie glorie che sembravano stelle, invece erano lucciole. “Un bravo ragazzo” diranno di lui, “un bravo ragazzo, si, abbastanza simpatico finchè non ha fatto uscire quel disco…”. Vedo già di fronte a me i volti contriti e leggermente nauseati dei critici, i loro sguardi delusi, di rimprovero quasi.
Sicuramente quest’ultimo lavoro è qualcosa di completamente diverso dai precedenti: Matsson si era distinto per uno stile pulito e minimalista, ma sincero – senza quella sincerità nel fare musica sfido chiunque a far uscire ben tre album e tre EP quasi soltanto chitarra e voce e vendere. Nelle canzoni appena uscite c’è stato invece un cambiamento totale e questo è evidente fin dal primo ascolto: un’attenzione alla fase della produzione che prima non era assolutamente pensabile, cori, archi, pianoforte, insomma pezzi molto più ambiziosi e strutturati se non altro dal punto di vista puramente musicale, che denotano un desiderio di migliorarsi.
Dopo tutto The Tallest ci ha fatto aspettare ben tre anni dall’uscita di There’s No Leaving Now, che sembrava già piuttosto appesantito da uno stile riconoscibile che rischiava di diventare un semplice marchio di fabbrica. L’originalità dei pezzi e il loro impatto erano fortemente diminuiti e, inutile negarlo, bisognava fare qualcosa. In ogni caso, dopo una pausa di riflessione così lunga e un bel respiro, Matsson ha deciso di rimettersi sul campo per scommettere la propria carriera in un unica partita da brivido giocata contro sè stesso. A giudicare dalle recensioni dell’album, temo non abbia fatto neanche il goal della bandiera in questo scontro all’ultimo sangue, anche se io credo ci siano delle precisazioni da fare.
Il povero cantautore è stato tacciato di aver tradito la sua musica, sacrificandola a un filone molto più vicino all’indie pop: le solite trovate commerciali di chi non ha abbastanza talento da restar fedele ai propri principi. Non nascondo che anche io sono rimasta un po’ interdetta nell’ascolto; di certo mi ha lasciata stordita, ma magari avrò semplicemente bisogno di tempo per assimilare il cambiamento.
Probabilmente non lo suggerirei come miglior album del talentuoso Matsson, ma non per questo mi sento di crocefiggerlo: per cosa, infondo? Per aver tentato una svolta, un salto di qualità? Per aver detto no a quella pigrizia che può spingere un artista a diventare la parodia di sè stesso, senza mai cambiare? Fin dall’inizio della sua carriera a The Tallest Man on Earth è stata affibbiata l’etichetta di Bob Dylan del 2000, cosa senza dubbio onorevole, ma suppongo anche un po’ frustrante. Magari c’era bisogno di lavorare un po’ per trovare un’identità personale, per rimettersi in gioco e dire “Oh Kris, questo lo sai fare, sei una bomba; adesso proviamo a fare una cosa che non sai fare.”. Io ritengo che la svolta di Dark Bird is Home sia forse non felicissima, è vero, ma non fuori luogo, in quanto era evidentemente necessaria.
Forse si tratta di un album un po’ banale, privo di una sua originalità intrinseca, ma non è un album da buttare, in quanto l’artista è ancora ben riconoscibile: basti pensare a pezzi come Beginners o Little Nowhere Towns. Penso che Kristian Matsson sia rimasto vittima, nel tentativo di crescere, del nostro bisogno di ascoltatori di non lasciare mai che l’etichetta si stacchi dal prodotto, confondendoci. “Che tutto sia al suo posto, che tutto sia semplificabile, santo cielo! A morte il cambiamento.” Probabilmente l’artista è cambiato, perchè ne sentiva la necessità, ma con uno scarto talmente repentino che quasi ha infastidito il pubblico. E quale occasione migliore per puntare il dito? Per chiudere, in questa società insoddifatta c’è sempre qualcosa da ridire: se fosse uscito con un altro album chitarra e voce si sarebbe detto “Andiamo, un altro disco così? Non ti pare di esagerare?”.
